L’ORDINE DEI SERVI DI MARIA RICORDA UN SUO FRATELLO
Alle 17,40 di lunedì 18 giugno 1984, presso l’ospedale della ss.ma Annunziata di Bagno a Ripoli, nei pressi di Firenze, moriva per infarto miocardico
p. Giovanni Maria Vannucci, o.s.m.
sacerdote di voti solenni, figlio della provincia toscana, di famiglia nella comunità dell’eremo di san Pietro a Le Stinche, Panzano in Chianti (Firenze).
Nato a Pistoia il 26 dicembre 1913, entrò nel convento fiorentino dei Sette Santi fondatori per compiervi gli studi medio-ginnasiali. Iniziò il noviziato a Monte Senario il 22 luglio 1929 e fece la professione semplice il 29 luglio 1930. A Firenze, alla ss. Annunziata, frequentò il biennio filosofico; a Roma, al collegio internazionale sant’Alessio Falconieri, compì il quadriennio teologico. Il 13 ottobre 1936 pronunciò i voti solenni e il 22 maggio 1937 fu ordinato sacerdote.
Rientrato l’8 luglio 1937 in provincia, nel 1938 ricoprì per un anno l’ufficio di maestro dei professi teologi alla ss. Annunziata. Nel 1940, tornato a Roma in attesa di partire per la nostra missione del Swaziland, invitato dal priore generale, p. Alfonso M. Benetti, a dedicarsi all’insegna- mento dell’esegesi biblica e della lingua ebraica nel nostro collegio internazionale, vi rimase per dieci anni. Significativa la seguente testimonianza sul suo insegnamento: “…ha insegnato la sua materia spiritualmente, voglio dire come un apostolo che insegna in primo luogo la virtù e specialmente la carità…”. Nel frattempo frequentò il pontificio Istituto Biblico, conseguendovi, nel 1943, la licenza in sacra Scrittura. Il 31 luglio 1944 ottenne il grado di baccelliere nell’Ordine e, nel 1948, la licenza in teologia presso l’Ateneo pontificio “Angelicum”.
Da tempo desideroso di avviare nell’Ordine una esperienza comunitaria che privilegiasse i valori monastici della vita dei Servi, non gliene fu consentita l’attuazione. Nei primi mesi del 1951, con alcuni confratelli, si associò alla nascente e contestata comunità cristiana creata a Nomadelfia (Grosseto) da don Zeno Saltini. Fu soltanto una parentesi; e il 6 settembre 1951 ritornò in provincia. Per un anno fu di comunità a Sansepolcro, dove si interessò vivamente ai problemi dei più poveri ed emarginati. Questo periodo fu da lui stesso definito molto importante per la sua vita.
Nel 1952 ritornò al convento della ss. Annunziata di Firenze dove fu incaricato dell’inse- gnamento del greco ai nostri studenti. Dal 1954, insieme con il p. David M. Turoldo, fu l’animatore di iniziative culturali e caritative, che suscitarono un forte risveglio religioso nella città di Firenze: la “messa della carità” giunse ad assistere oltre seicento famiglie bisognose.
Nel 1962 lasciò Firenze e passò al nostro convento di Pistoia, dove poté riprendere il suo sogno, sino allora inattuato, di avviare una nuova forma di vita comunitaria che, nel mutato clima ecclesiale postconciliare, con il sostegno dei superiori, iniziò il 24 giugno 1967 all’eremo di san Pietro a Le Stinche, nel Chianti, regione già testimone dell’esperienza degli eremiti di Monte Senario. Una nuova comunità dedita alla preghiera, al lavoro e all’accoglienza. Durante questa tappa della sua esistenza, iniziata da solo per l’abbandono di alcuni frati che lasciarono il proposito di vivere con lui, lavorò alla preparazione della sezione “vita comune” del nuovo testo delle Costituzioni dei Servi. Con lui venne ad abitare il p. Raffaello M. Taucci, ormai molto anziano ma vivacemente aperto ad ogni iniziativa di rinnovamento spirituale. Nel 1968, il p. Giovanni partecipò quale esperto al capitolo generale speciale di Majadahonda (Madrid), dando un contributo determinante alla stesura del nuovo testo costituzionale e scrivendo di proprio pugno il toccante epilogo, approvato per acclamazione dall’assemblea capitolare.
Lasciava l’eremo di Le Stinche soltanto per tenere, dietro pressanti inviti, conferenze, corsi di esercizi spirituali, conversazioni e meditazioni ai capitoli provinciali, oltre che per corsi di inse- gnamento di storia delle religioni alla pontificia Facoltà teologica “Marianum”. Amava, però, il silenzio e la pace intensa e laboriosa dell’eremo, sebbene continuamente cercato per colloqui con persone provenienti dalle esperienze religiose ed umane più svariate. Era l’attrattiva del suo stile di vita. “I miei proponimenti – scriveva in una lettera al priore provinciale p. Alfonso M. Bottai -, scusa se te lo ripeto, sono quelli di offrire un luogo di silenzio fattivo a chiunque ne ha nostalgia. Vorrei riprendere il lavoro manuale, ridar vita a certe forme di artigianato che devono fiorire attorno ai monasteri come continuazione di una realtà di preghiera”. “Il mio programma sarebbe questo: trovare la comunione lavorando all’attuazione di una vita di lavoro, studio, ospitalità, povertà, solitudine, letizia. Comunità dove a ciascuno sia concesso di portare a maturazione i propri doni e servire l’uomo con essi”.
Negli ultimi anni i confratelli lo chiamava- no amabilmente “il patriarca”, per la sua figura austera e distaccata, la la sua sobria saggezza, per la suggestione del suo linguaggio misurato, puntuale, penetrante e fascinoso. La sensibilità anticipatrice del p. Giovanni, la sua lucida anali- si dei problemi ecclesiali ed ecumenici, il rigore morale e l’avversione innata per ogni forma di compromesso, furono forse all’origine di molte in- comprensioni, che accettò con silenzioso riserbo, sovente interpretato da alcuni come orgoglioso isolamento. È edificante, invece, e significativo rileggere oggi, sul bollettino Cosmo n. 3/1984, la toccante pagina in cui spiegava il senso della sua appartenenza all’Ordine, tracciando con straor- dinaria efficacia e concisione un testamento di fedeltà e amore all’ispirazione e alla spiritualità originaria dei Servi.
Padre Giovanni ha lasciato alcune apprezzate pubblicazioni, alle quali affidò anche la sua profonda conoscenza del pensiero cristiano orien- tale e dei valori essenziali delle grandi religioni asiatiche. Nella primavera di quest’anno aveva dato alle stampe il volume Risveglio della coscienza.
Colpito da infarto miocardico, sulle prime parve riprendersi, ma l’indomani la morte lo stroncava. Subito la stampa quotidiana e periodica dava risalto alla scomparsa dl p. Giovanni e ne ricordava la figura di “monaco, fratello, amico, servo…”. Da ogni parte d’Italia ed anche dall’estero sono accorsi confratelli di varie pro- vince, amici e ammiratori per la liturgia esequiale, prima all’eremo di San Pietro a Le Stinche, alle ore 7 del mattino, presieduta dall’arcivescovo di Firenze, mons. Piovanelli, e poi per quella alla ss. Annunziata di Firenze, presieduta dal p. David M. Turoldo, con la partecipazione del vescovo di Fiesole, mons. Giovannetti. I testi per la liturgia erano quelli preparati qualche mese avanti dallo stesso p. Giovanni: un inno alla vita, all’amore per la terra nostra madre, un canto riconoscente per un traguardo di luce raggiunto da un servo fedele. La salma di p. Giovanni riposa ora nel cimitero di san Martino a Monte Senario.
Come prescrivono le nostre Costituzioni (cap.III, art.32), manifestiamo il nostro amore al fratello defunto, implorandogli la misericordia del Signore.
Roma, dal nostro convento di san Marcello, 3 settembre 1984.
Fr. Michel M. Sincerny, o.s.m.
priore generale
Nota: Il necrologio è diffuso in lettera circolare del priore generale (prot. 562/84).
Da Fraternità n.25 dicembre 2013
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